martedì 26 maggio 2009

(Post n. 17) Calligrafie


Molti penseranno ad un argomento da ragnatele ed odor di muffa, tipico di una sorta di arte minore, particolarmente cara a mentalità bacchettone ottocentesche ma… niente di più falso: si è invece di fronte a semplice grafica, cioè, per l’esattezza, a quella scienza/arte che combina insieme concetti di geometria, di stile e di psicologia della visione. Concetti ben noti, per esempio, agli architetti, ed a studiosi molto arguti come lo svizzero Adrian Frutiger.
Per alcune civiltà questi sono argomenti importanti: le culture estremo-orientali, per esempio, riconoscono un grande valore artistico a tutti i testi manoscritti (di cui le immagini pittoriche, rigorosamente bidimensionali, sono il commento visivo) e concepiscono invece le firme come qualcosa di immutabile da apporsi mediante utilizzo di un sigillo di giada. In base ad una logica diametralmente opposta , invece, nella nostra cultura i testi sono preferiti se a stampa (facendo spesso da commento alle immagini) e le firme vengono concepite come tali soltanto se manoscritte e se simili ma mai perfettamente identiche l’una all’altra; talvolta, poi, esse vengono considerate accettabili anche se illeggibili, ovvero se ridotte a qualcosa che si avvicina alle cosiddette “sigle”, cioè a simboli con funzione di identificazione personale dell’autore del testo, così come se fossero manuali ed instabili grafie di sigilli medievali per ceralacca.
Quando ero bambino – si sa che razza di pesti ficcanaso siano i cuccioli – rovistando in cerca di meraviglie nei cassetti di un armadio della camera da letto di un celibe zio paterno con noi convivente, scoprii un album di falserighe per allenamento calligrafico: qualcosa che ora mi risulta introvabile anche nei negozi di stilografiche ed attrezzi scrittori da collezione. Quel prezioso eserciziario andò poi cestinato come vecchia ed inutile maceria di casa, in uno dei soliti ripulisti di soffitta, ma io non digerii tanto bene la cosa per cui, a distanza di anni, tentai un recupero di “dati” con testi ed attrezzi calligrafici di vario tipo, alcuni dei quali, addirittura, autocostruiti. Ne è scaturita, insomma, una fervida passione, sia artistica sia scientifica, per i segni ed i simboli, qualcosa che mi accompagna ormai da più di una dozzina d’anni e della quale scriverò più avanti, per singoli episodi.
Nella foto una piccola parte (: nel campo di ripresa, chiaramente, non ci entrava di più) dei miei “attrezzi del mestiere” di calligrafo hobbistico.

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