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domenica 21 giugno 2009

(Post n. 25) Grafologia? Vediamo…


Nel Post n. 13 si è enunciato il concetto di pseudoscienza. Ebbene, eccone un altro esempio: la grafologia vorrebbe essere quella branca della psicologia che ha come oggetto l’individuazione della personalità di un essere umano attraverso l’analisi grafometrica della sua libera (cioè non del tutto costretta entro un artistico canone formale) calligrafia. Si dà il caso, però, che non esistano ancora norme per la costituzione di un ordine dei grafologi. Ciò perché non è stata ancora ritenuta scientificamente attendibile alcuna teoria grafologica anche se in ambito forense vengono ammesse, con estrema cautela, analisi grafometriche comparative del tratto calligrafico nel contesto di indagini volte a stabilire la paternità di una firma o di un documento manoscritto.
(http://www.overlex.com/stampa.asp?id=1904&txttabella=articoli)
Una cosa abbastanza buffa è poi l’insorgere di un equivoco in ambito attrezzistico: il grafometro è, tanto un attrezzo marinaresco utilizzato per effettuare rilevamenti topografici quanto uno strumento (strutturalmente del tutto diverso) utilizzato in grafologia per misurare e classificare le diverse calligrafie.
Dato che mi sono interessato alla calligrafia come fenomeno grafico creativo di simboli, prima che come forma d’arte, non potevo di certo lasciarmi sfuggire, sempre nell’ambito di quest’ottica, le oggettive classificazioni grafometriche della grafologia. Queste, infatti, sono indubbiamente di ordine grafico, prima che psicologico, e quindi, inerendo sempre al fenomeno della riconoscibilità della scrittura, sono in grado di misurare chiaramente fino a che punto possano spingersi le forme reali (allografi) mantenendo comunque la propria capacità evocativa delle forme ideali (grafemi)… e, magari, non soltanto questo: chissà cos’altro potrebbe emergere, di realmente oggettivo e quindi non opinabile, a seguito di una più approfondita analisi statistica. Ma ovviamente, per effettuare queste valutazioni avrei bisogno di confrontare tantissimi campioni in un mondo, in cui, purtroppo, ormai si digita tantissimo, si firma manualmente ancora abbastanza di frequente e si scrive con carta e penna sempre di meno e sempre più raramente.
In pratica mi vergogno quasi a chiedere aiuto a chi abbia voglia di inviarmi qualche campione calligrafico scannerizzato ma… sinceramente, non vedo altra soluzione.
Grazie in anticipo a chi avrà occasione e buona volontà al riguardo.

La foto all’inizio di questo post deriva dalla scannerizzazione di un campione di simulata “graficomania”, che ho realizzato con una biro Bic Z4 Roller Black 0.5 mm (uno strumento che ritengo ideale, per esperimenti di questo genere). In pratica, piazzandomi di fronte ad un foglio bianco, ho recitato la parte di una persona che scrive, senza, in realtà, scrivere alcunché.
Il vocabolo testé citato tra virgolette deve intendersi come equivalente, in campo grafico, del vocabolo “glossomania”, il quale riguarda, invece, questioni puramente verbali. Infatti, come un malato mentale affetto da sindrome glossomaniacale utilizza il proprio apparato fonatorio per emettere sequenze di sillabe senza senso e senza regole sintattiche definite, ma articolate con un ritmo ed una cadenza tali da far intendere a chi lo ascoltasse che egli stia parlando una lingua sconosciuta, dei semplici ghirigori, aventi dimensioni simili a quelle di vocaboli vergati su di un foglio come per costituire un manoscritto, possono sembrare un qualche tipo di scrittura: una stenografia, la scrittura di una lingua morta od un codice segreto.
Chiusura del post con provocazione: ma se ci si mette, con carta e penna, a simulare la scrittura, quello che si ottiene, non essendo allografo, potrebbe mai essere il famoso “tratto calligrafico personale” allo stato puro?

domenica 7 giugno 2009

(Post n. 21) Grammatologia


Oggetto: perché tengo sotto mano il saggio dal titolo “Della grammatologia” di Jacques Derrida – ISBN 88-16-40442-6 ?

Per chi volesse leggere due interessanti ma piuttosto impegnative recensioni di quest'opera consiglio i link:
http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/filosofi/schedeopere/derrida.htm ,
http://www.sciacchitano.it/Oggetti/cose%20epistemiche.pdf

Ma ora veniamo all’esperienza personale.
Quando si dice “E’ un discorso lungo e complicato!” forse ci si dimentica che la sintesi, pur essendo spesso un po’ criptica, può comunque stimolare l’intuito umano a comprendere meglio come approcciarsi panoramicamente ai problemi nel tentativo di trovare soluzioni efficaci a ben determinate questioni contingenti. Ad ognuno poi, nel proprio intimo, spetta capire, dal rapporto tra profondità e prolissità riscontrate in un testo estremamente dettagliato come quello cui si riferisce questo post, quale sia l’effettivo livello di utilità pratica ricavabile da un tal tipo di lettura.
Come ogni dovizioso saggio che si rispetti, “Della grammatologia” è un gigantesco serbatoio di pensieri che, approcciando da una miriade di ottiche diverse il tema della funzione e del livello di funzionalità proprie di qualsiasi scrittura sia stata inventata dal genere umano, cerca di andare oltre i confini della semiotica tradizionale nel tentativo di portare alla luce i residui dettagli, ancora misteriosi, di alcuni meccanismi profondi che governano le relazioni tra pensiero, linguaggio e scrittura.
E’ questa tutta la sintesi (alla quale ho accennato all’inizio del post) che sono in grado di fornire riguardo al contenuto di quest’opera cui talvolta ricorro al fine di trovare ispirazione per costruttivi spunti polemici interiori quando mi capita di cozzare contro qualche paralizzante paradosso nella lettura di altri testi assai più tecnici… e talvolta, lo confesso, il “giochetto” funziona!

Il grafema all’inizio del post è quello della fehu: la prima lettera del fuÞark arcaico, ovvero dell’alfabeto runico più risalente che si conosca. Ho scelto questa immagine perché essa ricorda un evento unico nella storia della scrittura: la rideterminazione dell’ordine lessicografico negli alfabeti nord-italici.
Curiosità: per chi non lo sapesse, attualmente i reperti più promettenti per determinare le origini dell’alfabeto runico sono emersi da iscrizioni ritrovate in uno scavo archeologico tra i monti di Auronzo di Cadore, nel Bellunese.

domenica 17 maggio 2009

(Post n. 13) Verità nascoste


Quanti messaggi invisibili passano sotto il nostro naso? Un’infinità, forse.
Ogni segno può essere un simbolo ed ogni simbolo può comunicare più concetti: è poi il contesto in cui la comunicazione avviene che, alla fine, precisa, più o meno chiaramente, il significato di ciò che si vuole comunicare.
Si tratta di argomenti difficili? Non lo so, ma di certo si sta considerando una specie di “caccia al tesoro” alla quale molti non riescono a resistere. Quasi ogni persona, infatti, è affascinata dai misteri ed avvinta dal desiderio di risolverli: è questo uno dei principali moventi che ha spinto l’umanità ad evolversi tecnologicamente nel corso dei millenni.
Non c’è quindi da stupirsi del fatto che, in certi periodi della storia, occultismo e scienza fossero vistosamente in stato di reciproca commistione entro un unico corpus di studi e che lo stesso Newton coltivasse entrambe tali “discipline” con identica dedizione (si allude al suo fervido interesse per l’alchimia prima che questa assurgesse a chimica): la scienza, infatti, prima di essere tale, si evolve dal misticismo magico, senza soluzioni di continuità, attraverso uno stadio intermedio di sviluppo conosciuto come “pseudoscienza”. Questo progresso, tuttavia, non è propriamente epocale, e quindi potrebbe manifestarsi, più o meno vistosamente, in qualsiasi tempo ed ogniqualvolta vengano inventate macchine che siano in grado di individuare la presenza di fenomeni precedentemente non rilevabili in quanto o sconosciuti o da tempo soltanto immaginati come probabilmente esistenti ma mai riscontrati in pratica.
Dove si vuole arrivare con questi “strani” discorsi? Sostanzialmente a nessuna posizione preconcetta: si vuole semplicemente tenere la mente aperta ad ogni cosa curiosa e, tanto la simbologia in genere quanto la scrittura in particolare, di cose di questo tipo ne hanno veramente moltissime, proprio perché stanno alla radice di tutto lo scibile umano quali mezzi utilizzati per il trasferimento e la conservazione delle informazioni.
Ma quali informazioni si possono ottenere quando, dal passato o dal presente, ci giungano segni che non si sa se siano decorazioni o simboli, oppure scritture con caratteri del tutto ignoti o noti ma ordinati in modo apparentemente privo di significato? Burle o verità nascoste?
Basti ricordare, per esempio, i pittoreschi casi del Manoscritto di Voynich (http://it.wikipedia.org/wiki/Manoscritto_Voynich) o dello strano Codice Rohonczi (http://en.wikipedia.org/wiki/Rohonc_Codex ), tanto per restare, alla buona, a parlare di questioni dall’aspetto storico vistosamente colorito. Vi sarebbero, infatti, anche casi analoghi ma di gran lunga più tecnologici ed assai meno appariscenti, che vanno dalle comunicazioni radioelettriche occultate nel rumore bianco del redshift mediante le tecniche di modulazione del salto di frequenza e della dissipazione di spettro ( http://en.wikipedia.org/wiki/Frequency-hopping_spread_spectrum ), fino ai tentativi di rinvenire messaggi entro sequenze caotiche di dati provenienti da qualsiasi sorgente, mediante apparati decodificatori di alta tecnologia e, come si suol dire, talvolta di elevato target (http://www.wavecom.ch/ ). Tiriamo quindi le somme finali di questo discorso? Se vi fosse qualcuno interessato all’approfondimento degli argomenti in parola, questo post sarebbe una costruttiva proposta di discussione e di aggregazione per l’eventuale futura costituzione di un’associazione scientifico-culturale che si occupi di linguistica-matematica, programmazione, teoria dei giochi, statistica, comunicazioni sicure via etere, ecc.; cioè, come si suole comunemente dire in gergo, di “codici”.