sabato 30 maggio 2009

(Post n. 18) RDF, ovvero “caccia ai volponi”. L’inizio.


Ecco, qui, per ora, mi trovo abbastanza a digiuno di dati ma ho un gran desiderio di documentarmi e di capirci bene qualcosa. Nel titolo del post non è stato scritto Fox Hunting, ovvero Caccia alla Volpe, proprio per evitare equivoci con argomenti venatori: tutti sanno, infatti, che cos’è un volpone. Il furbastro in parola, però, ha a che fare, in questo contesto, esclusivamente con le radiocomunicazioni, e può essere o legale od illegale. Nel primo caso lo scaltro individuo è un simpatico collega OM che, in una contesa sportiva, occulta una propria radiosorgente in una zona boscosa accessibile ad altri OM concorrenti i quali, con specie di radiogoniometri più o meno autocostruiti, fanno a gara a chi afferra per primo l’oggetto nascosto dal furbastro.
Nel secondo caso, invece, il volpone è un tristo figuro, indubbiamente affetto da qualche problema psichico piuttosto serio anche se non intellettualmente invalidante, il quale trae una sorta di sadico piacere nel disturbare, in stato di anonimato, le radiocomunicazioni (per lo più transitanti attraverso ponti ripetitori) con silenzianti onde portanti di elevata potenza oppure con ogni sorta di amenità sonore talvolta illegali anche nel contenuto.
In entrambe le circostanze comunque, l’attività volta ad acciuffare il volpone o la sua radiosorgente è sempre definita con la sigla RDF la quale è acronimo di Radio Direction Finding, ovvero di ritrovamento della zona di provenienza di un segnale radio. Il gioco non è sempre così semplice, infatti il secondo volpone di cui si è parlato, nel tentativo di essere imprendibile, di solito utilizza una radio posta entro un veicolo costantemente in movimento, ma ciò, tuttavia, non lo mette in salvo da una buona indagine. Ho trovato l’argomento RDF piuttosto interessante e, per iniziare a caprici a fondo qualcosa, ho acquistato il testo di cui alla pagina web:
Ovviamente non pretendo di arrivare ai livelli ultra professionali di http://www.rdfproducts.com/index.htm ma imparare qualcosa di utile per approfondire l'argomento con gli appassionati colleghi di http://www.qsl.net/vk3zpf/webring1.htm oppure con gli altri colleghi di http://www.ardf.info/index.shtm potrebbe essere interessante. Quindi, tanto per partire bene, un po’ di amene letture, poi uno sguardo ai kit di DF, tipo: http://members.tripod.com/~clearRX/RDFUNIT.HTM .
Intanto, ogni eventuale consiglio di OM esperti del settore mi sarà più che gradito.

martedì 26 maggio 2009

(Post n. 17) Calligrafie


Molti penseranno ad un argomento da ragnatele ed odor di muffa, tipico di una sorta di arte minore, particolarmente cara a mentalità bacchettone ottocentesche ma… niente di più falso: si è invece di fronte a semplice grafica, cioè, per l’esattezza, a quella scienza/arte che combina insieme concetti di geometria, di stile e di psicologia della visione. Concetti ben noti, per esempio, agli architetti, ed a studiosi molto arguti come lo svizzero Adrian Frutiger.
Per alcune civiltà questi sono argomenti importanti: le culture estremo-orientali, per esempio, riconoscono un grande valore artistico a tutti i testi manoscritti (di cui le immagini pittoriche, rigorosamente bidimensionali, sono il commento visivo) e concepiscono invece le firme come qualcosa di immutabile da apporsi mediante utilizzo di un sigillo di giada. In base ad una logica diametralmente opposta , invece, nella nostra cultura i testi sono preferiti se a stampa (facendo spesso da commento alle immagini) e le firme vengono concepite come tali soltanto se manoscritte e se simili ma mai perfettamente identiche l’una all’altra; talvolta, poi, esse vengono considerate accettabili anche se illeggibili, ovvero se ridotte a qualcosa che si avvicina alle cosiddette “sigle”, cioè a simboli con funzione di identificazione personale dell’autore del testo, così come se fossero manuali ed instabili grafie di sigilli medievali per ceralacca.
Quando ero bambino – si sa che razza di pesti ficcanaso siano i cuccioli – rovistando in cerca di meraviglie nei cassetti di un armadio della camera da letto di un celibe zio paterno con noi convivente, scoprii un album di falserighe per allenamento calligrafico: qualcosa che ora mi risulta introvabile anche nei negozi di stilografiche ed attrezzi scrittori da collezione. Quel prezioso eserciziario andò poi cestinato come vecchia ed inutile maceria di casa, in uno dei soliti ripulisti di soffitta, ma io non digerii tanto bene la cosa per cui, a distanza di anni, tentai un recupero di “dati” con testi ed attrezzi calligrafici di vario tipo, alcuni dei quali, addirittura, autocostruiti. Ne è scaturita, insomma, una fervida passione, sia artistica sia scientifica, per i segni ed i simboli, qualcosa che mi accompagna ormai da più di una dozzina d’anni e della quale scriverò più avanti, per singoli episodi.
Nella foto una piccola parte (: nel campo di ripresa, chiaramente, non ci entrava di più) dei miei “attrezzi del mestiere” di calligrafo hobbistico.

venerdì 22 maggio 2009

(Post n. 16) La prima ham-radio di IZ2LTX


Piccolo anacronistico (per questo blog) intermezzo tecnologico? Vediamo... La prudenza suggerisce di cominciare sempre con “poco”. Così, come tutti i neo-OM, anch’io ho iniziato le mie ricetrasmissioni, in fonia e con tanto imbarazzo, utilizzando una piccola radiolina palmare: la Kenwood TH-F7E.
Per la cronaca la versione 7E è per l'Europa, mentre la 6A è per l'America e dispone, in più, del controllo remoto wireless, con cui è possibile, in USA, sulla banda di frequenza dei 70 cm, comandare a distanza un ricetrasmettitore dotato dei sistemi DTSS e controllo remoto. Questo "pilotaggio a distanza" viene effetturato mediante la funzione DTMF, presente su entrambe le versioni della TH-F ed utilizzabile in USA ed in Canada anche per avvalersi del servizio di Autopatch, cioè per poter interconnettere radio di questo tipo alla rete telefonica pubblica.
Indubbiamente si tratta di cose qui per ora irrealizzabili sia a causa di una norma che stabilisce l'obbligatorietà del presidio di una stazione radioham non automatica da parte del suo titolare quando essa sia in funzione, sia perché il servizio di Autopatch non è stato implementato; comunque, il DTMF è qui utilizzabile per interagire coi ponti Echolink ed annullare così ogni limite fisico nelle comunicazioni radio mediante l'interconnessione attuata attraverso Internet.
Come si può intuire, quindi, le conoscenze tecniche in fatto di miniaturizzazione della componentistica elettronica hanno ormai raggiunto livelli così elevati che non si può più giudicare un prodotto di questo settore partendo esclusivamente dalle sue dimensioni. La radio palmare in parola, come appena constatato, è infatti un concentrato di tecnologia in un piccolo parallelepipedo di circa 8 cm di altezza, per 5 cm di larghezza, per 3 cm di profondità, per un totale di 226 g di peso, al netto dell’antenna, da considerarsi, com’è ovvio, quale corpo aggiunto sostituibile a piacere. In pratica si tratta di qualcosa di molto simile, per volume e prezzo, ad uno smartphone di ultima generazione.
L’antenna originale (detta in gergo e scherzosamente: “gommino”) è alta circa 16 cm e pesa 23 g, mentre quella, sempre portatile ed a stilo, da me successivamente acquistata e che si vede nella foto, è una Diamond SRH999 per le bande di frequenza dei 50, 144, 430 e 1200 MHz. Naturalmente, essendo più performante, essa ha misure maggiori della precedente, infatti è alta 50,70 cm e pesa 62 g.
Il mio primo timido QSO in fonia è avvenuto, attraverso il ponte ripetitore R0 di Polinago (Modena), il 26 maggio 2007, all’ora UTC 23.10, con Giuseppe IW4AGE, QTH Cento di Ferrara, e si è concluso alle 00.10. Rapporto RST: 5, 9, - . Niente male per una potenza massima di 5 W ed uno striminzito gommino che, da dove mi trovavo al ponte R0, ha spinto il mio segnale a circa 60 Km di distanza!
Tutte le specifiche tecniche di questa radio palmare si possono trovare alla pagina web:
Gli amici OM in possesso di questo bel gingillo o di equivalenti sono ovviamente invitati a divertirsi effettuando, con l'autore di questo post, prove di approfondimento e miglioramento di tutte le potenzialità più o meno nascoste di questo RTX,
73 de IZ2LTX

(Post n. 15) Motoraduni, Run e Radunanze


Come si è già accennato nel Post n. 7, attorno agli appassionati di moto custom orbita tutto un universo filosofico piuttosto naif che crea lo stile di vita turistico, libero e “ruspante” solitamente tipico di chi viaggia su questo particolare genere di veicolo. La moto “da passeggio” è infatti qualcosa che tende a valorizzare tanto il piacere di guida quanto la visione panoramica del paesaggio. Ma ovviamente la storia non finisce qui: nelle custom viene anche esaltata la bellezza e la tipicità del design, la qualità dei materiali e, non ultimo, perfino il “suono” del motore.
Da tutto ciò deriva il fatto che tra questi veicoli emergono spesso dei veri e propri gioielli della meccanica e della carrozzeria, e talvolta pezzi unici personalizzati o addirittura minuziosamente autocostruiti, per cui sarebbe un vero peccato che tali meraviglie restassero confinate in qualche garage o in un salone da esposizione: esse debbono essere “vissute” ed orgogliosamente mostrate in motoraduni, run e radunanze. Questi sono, infatti, i tre diversi tipi di ritrovi tra appassionati: il primo si concretizza in un assembramento entro un’area aperta al pubblico e con funzione prevalente di zona di festival e di esposizione dei veicoli fin lì condotti dagli stessi motociclisti partecipanti all’evento; il secondo è un motogiro turistico in gruppo lungo un percorso predeterminato; il terzo, infine, è un assembramento di moto e motociclisti [per comprendere meglio il concetto: radunanza + (mercatino accessori moto, punti di ristoro, spettacolo musicale ed apertura al pubblico) = motoraduno].
Nella foto sopra riportata, si vede uno splendido chopper che ha fatto la propria folgorante comparsa nell’ultimo motoraduno (dall’8 al 10 c.m.) organizzato a Monzambano dai Custodi delle Colline: il motoclub custom di quella bella cittadina adagiata sulle colline moreniche del lago di Garda

mercoledì 20 maggio 2009

(Post n. 14) Side-Swiper: l’impossibile?

Tanto per cominciare con un po' di mistero, niente foto all’inizio di questo post: tutto sarà svelato, in prosieguo, ai non addetti ai lavori, mediante opportuni link. Gli OM, invece, potrebbero addirittura saltare direttamente alle ultime tre righe, ma forse non disdegnerebbero rivedere, con gli stessi link, alcune splendenti "chimere" dei propri sogni hobbystici.
Partiamo!
La storia della tecnologia conosce momenti in cui, per effetto del rapido succedersi di varie scoperte e miglioramenti tecnici, alcune produzioni, anche se appena iniziate, vengono interrotte per essere subito sostituite da altre che immettono sul mercato beni più avanzati e convenienti. In tali casi i beni cessati di produzione acquisiscono, tra i collezionisti, un elevato indice di rarità, dato, appunto, dal loro limitatissimo numero. Questa, nel campo dei tasti telegrafici, è stata forse la sorte tanto di un particolare tasto manuale detto sideswiper ( http://www.morsemad.com/paddles_files/198.jpg ), sostituito dal tasto semiautomatico (v. Post n. 4), quanto del tasto automatico a due bracci oscillanti (sostanzialmente un doppio bug) Meleahan-Valiant ( http://www.zianet.com/sparks/valiantbig.html ), prodotto dalla Shultz Tool & Machines, e poi soppiantato dal tasto paddle( http://www.bencher.com/ham/images/by2.jpg ) collegato al relativo keyer ( http://w4ti.net/k5-1.jpg ), cioè ad un apparato elettronico che invia impulsi morse al ricetrasmettitore. Più precisamente il keyer produce silenziosamente, al proprio interno, interminabili sequenze dei due tipi di segnali morse e riceve elettricamente dal tasto paddle, che nei suoi confronti si comporta come un particolare tipo di interruttore, l’ordine di inviare, al ricetrasmettitore radio, o l’impulso breve o quello lungo od entrambi intervallati l’uno all’altro, a seconda di come il telegrafista manipola il tasto ed imposta i parametri del keyer stesso ( http://www.youtube.com/watch?v=X_uVQavmXCs&feature=related ). Per monitorare all'orecchio dell'operatore la manipolazione del tasto, il keyer produce un segnale acustico “locale”: si tratta del cosiddetto “side tone” già citato nel Post n. 12.
Dispositivi quasi identici ai sideswiper ed ai doppi bug storici vengono attualmente prodotti, con innovativo design, da nuove ditte. Il sideswiper, in particolare, data la sua rudimentale struttura meccanica e la sua estremamente tipica modalità d’impiego, riscuote ancora, tra molti appassionati di telegrafia, un certo interesse (
http://sideswipernet.googlepages.com/home ), ma ha, al momento, poche linee di produzione “classiche”. Quella, tra esse, che mi ha colpito di più, è: http://web.tiscalinet.it/i2viu/ik1ojm/sideswip.html .
Per una valida spiegazione dell’utilizzo di questo tipo di tasto telegrafico orizzontale si veda:
http://www.youtube.com/watch?v=ZfLrgYHIpjo .
Il sideswiper mi incuriosisce parecchio e se qualcuno ne avesse già utilizzato diverse versioni, mi piacerebbe conoscere le sue impressioni al riguardo.

domenica 17 maggio 2009

(Post n. 13) Verità nascoste


Quanti messaggi invisibili passano sotto il nostro naso? Un’infinità, forse.
Ogni segno può essere un simbolo ed ogni simbolo può comunicare più concetti: è poi il contesto in cui la comunicazione avviene che, alla fine, precisa, più o meno chiaramente, il significato di ciò che si vuole comunicare.
Si tratta di argomenti difficili? Non lo so, ma di certo si sta considerando una specie di “caccia al tesoro” alla quale molti non riescono a resistere. Quasi ogni persona, infatti, è affascinata dai misteri ed avvinta dal desiderio di risolverli: è questo uno dei principali moventi che ha spinto l’umanità ad evolversi tecnologicamente nel corso dei millenni.
Non c’è quindi da stupirsi del fatto che, in certi periodi della storia, occultismo e scienza fossero vistosamente in stato di reciproca commistione entro un unico corpus di studi e che lo stesso Newton coltivasse entrambe tali “discipline” con identica dedizione (si allude al suo fervido interesse per l’alchimia prima che questa assurgesse a chimica): la scienza, infatti, prima di essere tale, si evolve dal misticismo magico, senza soluzioni di continuità, attraverso uno stadio intermedio di sviluppo conosciuto come “pseudoscienza”. Questo progresso, tuttavia, non è propriamente epocale, e quindi potrebbe manifestarsi, più o meno vistosamente, in qualsiasi tempo ed ogniqualvolta vengano inventate macchine che siano in grado di individuare la presenza di fenomeni precedentemente non rilevabili in quanto o sconosciuti o da tempo soltanto immaginati come probabilmente esistenti ma mai riscontrati in pratica.
Dove si vuole arrivare con questi “strani” discorsi? Sostanzialmente a nessuna posizione preconcetta: si vuole semplicemente tenere la mente aperta ad ogni cosa curiosa e, tanto la simbologia in genere quanto la scrittura in particolare, di cose di questo tipo ne hanno veramente moltissime, proprio perché stanno alla radice di tutto lo scibile umano quali mezzi utilizzati per il trasferimento e la conservazione delle informazioni.
Ma quali informazioni si possono ottenere quando, dal passato o dal presente, ci giungano segni che non si sa se siano decorazioni o simboli, oppure scritture con caratteri del tutto ignoti o noti ma ordinati in modo apparentemente privo di significato? Burle o verità nascoste?
Basti ricordare, per esempio, i pittoreschi casi del Manoscritto di Voynich (http://it.wikipedia.org/wiki/Manoscritto_Voynich) o dello strano Codice Rohonczi (http://en.wikipedia.org/wiki/Rohonc_Codex ), tanto per restare, alla buona, a parlare di questioni dall’aspetto storico vistosamente colorito. Vi sarebbero, infatti, anche casi analoghi ma di gran lunga più tecnologici ed assai meno appariscenti, che vanno dalle comunicazioni radioelettriche occultate nel rumore bianco del redshift mediante le tecniche di modulazione del salto di frequenza e della dissipazione di spettro ( http://en.wikipedia.org/wiki/Frequency-hopping_spread_spectrum ), fino ai tentativi di rinvenire messaggi entro sequenze caotiche di dati provenienti da qualsiasi sorgente, mediante apparati decodificatori di alta tecnologia e, come si suol dire, talvolta di elevato target (http://www.wavecom.ch/ ). Tiriamo quindi le somme finali di questo discorso? Se vi fosse qualcuno interessato all’approfondimento degli argomenti in parola, questo post sarebbe una costruttiva proposta di discussione e di aggregazione per l’eventuale futura costituzione di un’associazione scientifico-culturale che si occupi di linguistica-matematica, programmazione, teoria dei giochi, statistica, comunicazioni sicure via etere, ecc.; cioè, come si suole comunemente dire in gergo, di “codici”.

(Post n. 12) Oscillofoni: vegliardi dimenticati?





C’era una volta, durante l’esame per il conseguimento della patente di operatore di stazione radioamatoriale, la prova di lettura e di trasmissione di messaggi in codice morse.
Dato che, prima di aver conseguito il nominativo e la licenza, sarebbe stato illecito trasmettere, come ci si sarebbe potuti preparare a sostenere con successo questa prova d’esame non avendo a portata di mano un ricetrasmettitore cui far produrre soltanto il cosiddetto "side tone"? (v. Post n. 14)
Semplice: ci si allenava utilizzando un classico tasto telegrafico verticale (tipo quello riportato nella foto del Post n. 2) collegato ad un oscillofono, cioè ad un elementare ed economicissimo dispositivo elettrico in grado di emettere un suono mono-tonale ad ogni pigiar di tasto.
Che cosa resta, oggi, degli oscillofoni? Forse ben poco, data l’abrogazione della prova di Morse nel suddetto esame, ma, di preciso, non si potrebbe dire con certezza: il CW è sempre soggetto ad improvvise impennate di moda che talvolta contraddicono anche i più infausti pronostici riguardanti la sua sorte, tuttavia la continua incertezza circa un flusso abbastanza costante di consumo di oscillofoni ha fatto concentrare la loro produzione in poche imprese ed in alcuni stati soltanto, e la loro vendita, perlopiù sotto forma di kit, quasi esclusivamente in pochissimi negozi virtuali su internet.
Personalmente ho iniziato a fare un po’ di allenamento con un tasto verticale MFJ-557 ( http://www.mfjenterprises.com/pictures/MFJ-557.jpg ) che è stato concepito, di fabbrica, in formato monoblocco assieme ad un oscillofono specificamente dedicatogli.
In tal caso nulla da eccepire, ma come avrei potuto allenarmi in altre modalità di manipolazione telegrafica evitando di accendere un apparato radio o di fare un’antiestetica derivazione di fili elettrici da un qualsiasi altro tipo di tasto telegrafico agli elettrodi dell’oscillofono di cui sopra? Per caso sono capitato sul sito http://www.morsex.com/ ed ho acquistato l'oscillofono in kit di cui alla pagina web http://www.mtechnologies.com/ameco/keyosc.htm . Quindi, mano al saldatore e... al lavoro per ottenere un altro piccolo dispositivo di indubbia comodità. H
o detto "altro piccolo", perché, già in precedenza, avevo assemblato un keyer (v. Post n. 14 ) che di certo potrebbe stare entro l'area di un francobollo di dimensioni medie: il PicoKeyer della Noxas:

(Post n. 11) Tuffo, con doppio avvitamento, nel ReLug!





Linux? E’ un bel dire: questo simpatico pinguino, nonostante lo strato di ciccia che gli avvolge i muscoli, ha l’argento vivo addosso: fila come un siluro e sguscia via dalle dita come una saponetta bagnata!
Tuttavia, come al solito, ogni problematica situazione si risolve con l’opportuno approccio razionale al problema. Nel mio piccolo, per agguantare il vivace sistema operativo, già avevo iniziato a familiarizzare con esso da qualche anno mediante l’utilizzo della distribuzione SuSe, ma i “ragazzi” del ReLug ( http://relug.linux.it/
) mi hanno dato qualche buona dritta per aprire le porte del “paradiso degli informatici” e così mi sono trovato a gestire, abbastanza serenamente, le splendide distribuzioni Ubuntu, Kubuntu e Debian. Non senza grattacapi, lo ammetto, ma nemmeno senza soddisfazioni.
Di Linux non mi ritengo un sostenitore ad oltranza, vale a dire che, se da un lato reputo nobilissima e del tutto condivisibile la “causa” dell’open source, da un altro lato non è mia abitudine esaltare il sistema operativo Linux ad assoluto detrimento di altri OS proprio perché ho riscontrato che alcuni programmi che mi servono, attualmente non hanno equivalenti che girano sotto Linux. Debbo anche dire, però, che alcuni programmi che girano sotto Linux sono, secondo me, di gran lunga assai migliori di programmi non open source che girano sotto altri sistemi operativi. Questa è la ragione per cui utilizzo diversi OS a seconda delle mie esigenze e perché sono un fervido sostenitore delle cosiddette virtual-box, cioè di quei programmi che permettono di avviare un sistema operativo in seno ad un altro sistema operativo, come se l’OS contenuto fosse un comune applicativo dell’OS contenitore.
A conclusione di questo post mi sento comunque di consigliare vivamente, a chiunque ne fosse incuriosito, l’utilizzo di Linux senza alcun timore, magari iniziando a familiarizzare con esso su un vecchio PC altrimenti destinato alla discarica dopo l’acquisto di un PC nuovo. Nessun problema se il vecchio PC vi sembrasse troppo obsoleto: mediante la c.d. attività trashware, con Linux si possono recuperare, a funzionalità attuali, anche PC con hardware piuttosto datato, e con LTSP si può far viaggiare in rete come un razzo un vecchio PC dopo averlo trasformato in terminale di un Linux Server allestito su un altro PC, dotato di adeguato e più recente hardware.
Se qualcuno desiderasse entrare maggiormente nei dettagli, mi contatti pure.

[All'inizio di questo post l'immagine di TUX: la mascotte ufficiale del kernel di Linux ( http://it.wikipedia.org/wiki/Tux#cite_note-0 ), la cui immagine è stata creata, con GIMP, da Larry Ewing ( lewing@isc.tamu.edu ) che ne ha autorizzato a chiunque la modifica e l'utilizzo].